Relativismo percettivo: architettura della fenomenologia

Viviamo in una realtà che crediamo solida ma frutto di un relativismo percettivo. Tocchiamo le superfici, misuriamo le distanze, fissiamo le strutture come se fossero stabili per definizione. Eppure, ogni percezione che abbiamo è una costruzione: un’interpretazione che il cervello produce per dare coerenza a un insieme di stimoli ambigui.

La materia stessa, osservata alla scala quantistica, perde consistenza: diventa probabilità, vibrazione, campo.
Ciò che chiamiamo “concreto” è, in realtà, il risultato di un processo di interpretazione. La fisica contemporanea e le neuroscienze convergono sul relativismo percettivo: il reale non è dato, ma elaborato.

In architettura, questa consapevolezza apre scenari profondi. Ogni forma costruita è una rappresentazione percettiva prima ancora che strutturale. Progettare significa organizzare una sequenza di esperienze sensoriali e cognitive, un equilibrio fragile tra spazio e mente.Ciò che appare stabile è, in realtà, il prodotto di un equilibrio dinamico tra osservatore e fenomeno.

Un volume di cemento sospeso sul mare, come un oggetto di meditazione, esprime questa tensione tra realtà e interpretazione. La sua presenza appare assoluta, ma nell’annullamento della legge di gravità la sua percezione è relativa. Pieno e vuoto si invertono nel passaggio di scala visto la materia solida a livello subatomico è prevalentemente vuota e così l’universo interstellare. La luce stessa, i colori ed i suoni sono percepiti in un determinato modo dalla nostra retina e dai nostri organi udivi, ma l’universo in realtà sarebbe freddo silenzioso e buio.

L’architettura si rivela allora come un esperimento percettivo: una lente che interroga la natura instabile del mondo e interpreta la natura strettamente fenomenologica della realtà.

Tre architetture come esperimenti di percezione

1. Teshima Art Museum – Ryue Nishizawa, 2010
Un guscio di cemento quasi liquido che dissolve la distinzione tra interno ed esterno.
L’acqua scorre libera sul pavimento, la luce penetra in modo mutevole, e l’intera esperienza sembra appartenere più a uno stato mentale che a una funzione architettonica.
L’opera non si limita a contenere, ma accade: è un fenomeno percettivo continuo.

2. Casa das Histórias Paula Rego – Eduardo Souto de Moura, 2009
Le due torri gemelle in calcestruzzo pigmentato sembrano emergere da una realtà parallela, tra costruzione e rovina.
L’uso del colore e della massa non definisce un peso, ma un’eco — una presenza che si fa percezione cromatica e psicologica.
L’architettura diventa così un campo di memoria visiva, in cui la materia è linguaggio percettivo.

3. Mies van der Rohe Pavilion – Barcellona, 1929 (ricostruito 1986)
Un classico che rimane contemporaneo proprio per la sua ambiguità percettiva.
I materiali riflettono, duplicano, dissolvono la spazialità.
Il padiglione non rappresenta la realtà: la reinterpreta, trasformando il visitatore in un osservatore consapevole della propria percezione.